martedì 20 gennaio 2009

Capitolo 11.

11.


Alla fine la storia era andata così: l’autunno era arrivato da un po’, l’estate era ormai una cartolina ingiallita e io come un cricetino avevo ricominciato a correre nella routine. Corri, cricetino, corri, corri, tanto non arriverai mai da nessuna parte. Lavoro, lavoro, lavoro: in fondo quello era un grande anestetico. Che per giunta dava le sue soddisfazioni. Proprio quella sera stava per darmene una delle più grandi degli ultimi anni. In bici, in mezzo al traffico e sotto una pioggerellina d’autunno, di quelle che non infradiciano ma ti insinuano l’umido nelle ossa, avevo ricevuto la telefonata che aspettavo da tempo, per quel nuovo contratto a cui avevo tanto lavorato. Grandioso! Quella sera, al solito aperitivo, con i soliti amici al solito bar avrei avuto qualcosa da festeggiare!
E lì, al solito bar, seduto a un tavolo defilato c’era Sam. Non aveva annunciato il suo ritorno tanto sapeva che mi avrebbe trovata lì.
Stop!
Questo era solo un film, l’ennesimo che la protagonista di questa storia si era proiettata in testa tante volte, pedalando in bici fra casa e l’ufficio e cercando in questo modo, rifugiandosi in un film tutto suo, di non soccombere sotto il peso di quella città dalla luce di latte, dove tutto perde i contorni e sembra sempre irrimediabilmente uguale.
Stop! Quello era solo un film e la vita – come aveva detto lui – non è un film di Hollywood. Sam se ne era andato, sebbene non avesse mai smesso di scrivere.

“Dal mio letto: sono così confuso qui a Montreal, Quebec, Canada. Ubriaco, come al solito, solo in un hotel... Direction home a complete unknown... perle di sudore sulle sopraciglia. Oh Dio, perdona i miei peccati, sono completamente prostrato. Mi manchi, F. mi manca il tuo terrazzo, le tue piante, i tuoi rampicanti, e la tua.............. pelle succulenta. Mi dispiace di essere così inaffidabile. Posso solo fare un passo alla volta. Love, S.”.

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