sabato 21 marzo 2009

Osteria del Sole

Con le loro poche decine di anni in due se ne stanno da un'ora appoggiati al bancone dell'osteria piena di gente che vocia, ordina vino, si saluta, si chiama in un venerdì sera di una settimana come tante altre arrivata alla fine senza un risultato. Alito contro alito, occhi puntati negli occhi, ginocchia ad incastro: non si staccano le mani di dosso. Non c'è parola che non sia accompagnata da un dito che sfiora l'ansa di un fianco, che sottolinea il movimento delle labbra che s'infila nel traforato della maglia di lei. Lui è alto e bello. Lei è alta e bella. Lui ha un anello grosso di ottone al dito. E i baffi. Lei ha in capelli rossi e le guance infiammate da un pomeriggio passato a letto. E a letto tutti e due sanno che stanno presto per tornare. Solo un bicchiere di vino, un altro e poi un altro ancora per sbatterci in faccia la loro storia d'amore, unica - pensano - nella storia dell'umanità. Un vecchio ubriaco, ospite abituale dell'osteria, si avvicina a loro. Li interrompe. Vuole parlare e loro gli danno corda. Mica hanno paura che qualcuno glielo porti via quel loro unico amore; lo ricarica l'elettricità dei loro corpi che continuano a non riuscire a stare più discosti di pochi centimetri.
Esco.
Un ristorante. Un bistrot, di quelli informali da riviste patinate. In mezzo ai libri. Romanzi e spaghetti. Saggi e passate di pomodoro. Poesia e arringhe sott'olio. Un tavolo quadrato, piccolo, da ristorante francese. Loro hanno molte più decine di anni in due, di certo insieme toccano il secolo. A loro manca la luce, l'elettricità è andata via. Lui ha un accento che vien da fuori. Lei una borsa pitonata di colore viola. Fanno a gara a chi ne sa di più di musica, chissà perchè di rock. Roba di quando avevano pochi anni e frequentavano le osterie piene di gente vociante. Lui cerca di impressionarla snocciolandole i titoli dei vinili che custodisce a casa. Lei non si fa impressionare, anzi lo trova un po' idiota. Si sono conosciuti in una chat e hanno pensato che potesse essere un buon modo per conoscersi, per sorprendersi l'uno con l'altra, ma soprattutto con se stessi. No, niente da fare: hanno tagliato i fili della luce. Nessuna elettricità. Anzi, un filo di irritazione per essersi rovinati a vicenda quella ultima scossa. Un po' di antipatia. Già un accenno di odio, quanto meno rancore.
Io in mezzo. Niente osteria, ma incapace di arrendermi al bistrot, ai suoi piatti unici, laccati.

Musica per la scrittura: Keith Jarrett, The Köln Concert.

mercoledì 4 marzo 2009

tin tin tinti

Ossessiva. E ripetitiva. Una musica ossessiva e ripetitiva. Ipnotica.
Tin tin tinti, tin tin tinti, tin tin tinti.
Cerco di scriverci sopra una storia, di collegarci i miei pensieri. Una storia. Ce l'ho sulla punta di....., ma non viene. E se avessi smesso di sentire? Magari la storia non viene per quello, perchè ho smesso di sentire. Ascolto ma non sento.
E dire che di cose da raccontare ne avrei tante. Storie di gente che non s'incontra, oppure si scontra, evita d'incontrarsi. Che vorrebbe incontrarsi, ma poi la vita.
Non viene, la storia. Eppure ce l'ho sulla punta di....
Tin tin tinti, tin tin tinti, tin tin tinti. Tin tin tinti, tin tin tinti, tin tin tinti. Tin tin tinti, tin tin tinti, tin tin tinti.
Non riesco ad inanellare i pensieri, le idee, le emozioni.
E la musica va. Va un treno d'infiniti vagoni in una piana dell'Arizona. Va la corsa di chi a correre non riesce più. Va una bici, che pedala, pedala, pedala. Va chi cerca lontano e lontano non ha il coraggio di andare. Va quello che è stato, che avrebbe voluto che fosse, ma che non è riuscito a far essere.
Tin tin tinti.
Come la pelle d'un cane, di quei cuccioli che vestono una pelliccia di qualche taglia ancora troppo grande per loro. No, il contrario. Qui è la pelle ad essere stretta. Come un otre. E se la tiri ancora un po', solo un po', scoppia.
La musica va, per lei è più semplice. Qualcuno l'ha scritta al posto suo.
...............
La musica è andata.