domenica 18 novembre 2007

Londra e il mio Karma

Tra me e Londra ci deve essere un karma discutibile.
Della prima visita – avevo 16 anni, cioè ormai 24 anni fa – non è rimasto alcun ricordo. Furono pochi giorni di passaggio prima di una lunga vacanza-studio, la prima senza mamma e papà, a Edimburgo.
Il ricordo della seconda volta è una gigantesca incazzatura dentro una cabina telefonica di via Riva Reno, Bologna. Era lì che era finito il mio primo giorno di un lungo weekend nella capitale inglese con un fidanzato che solo al check in dell’aeroporto aveva realizzato di avere la carta d’identità scaduta. Per fortuna che in quegli anni le compagnie aeree cambiavano i voli senza sovrapprezzi. Il finesettimana, quindi, ci fu ugualmente, sebbene accorciato di un giorno, ma la mattina della mancata partenza non potei fare a meno di sfogarmi con un'amica urlando a un telefono pubblico. “Non vorrei essere nei panni del suo fidanzato”, mi disse un tale che ascoltò tutta la conversazione aspettando il suo turno per il telefono; mica c’erano i cellulari, allora.
Della terza volta ricordo tanta pioggia e un intero sabato pomeriggio a casa di due lesbiche tristi ma orgogliose di mostrare il loro nuovo mini appartamento.
Di questa volta ricorderò una bella casa a South Kensington, un violoncello, un musicista, le finestre che affacciano su un parco di foglie gialle e rosse, un episodio di cappa e spada, una musica che racconta storie avventurose.
Ma l’ennesima sliding door della mia vita si è chiusa lasciandomi dalla parte sbagliata.
“Felice di essere a Londra?”.
“Diciamo che qui ho trovato un’identità che prima avevo smarrito”.
Questo succede a chi ha l’abilità di trovarsi dalla parte giusta quando la porta scorrevole si chiude e il treno si rimette in moto.
Londra non è per niente indulgente. E poi è davvero cosmopolita.
Talmente cosmopolita da potersi permettere di essere fatiscente, caotica, con le scarpe sempre sporche e il collo e i polsini della camicia un po’ lisi e sfilacciati. Rimane comunque una capitale del mondo.
Una laundrette illuminata al neon. Il mercato di Spitalfield e i tavoli da mahjong. Un uomo di colore vestito in kilt con una ventiquattrore in mano. “Where you looking for me, darling? Here I am”. I poppies appuntate sul bavero a dire: “io ho versato l'obolo”. Un ciccione che pretende di essere vestito elegante e amoreggia in camicia rosa e cravatta slacciata con una donna vistosa all’Oyster bar di Harrods. Gli indiani di Brick Lane. Alla Tate Modern come al parco dei divertimenti. Fish and chips. E la Regina che ai ricevimenti non si presenta mai coperta di guardie del corpo.
Mica è Kate Moss, lei. Durante un ricevimento, alla modella hanno presentato Cameron, il leader politico conservatore. “C’è una buona notizia – ha raccontato poi lui agli amici – Kate Moss mi ha chiesto il numero di telefono. E c’è una pessima notizia: Kate Moss pensa che io sia un idraulico” (per scoprire perché, vedere il Guardian o il Times del 10 novembre).
Torno a casa con un bel paio di scarpe, un film negli occhi che consiglio a tutti (“Into the wild” di Sean Penn; un po’ lungo, con la mano calcata sul finale, ma di grande aura) e gli annunci matrimoniali del Guardian. Imperdibili!

"Are you an insensitive, up-tight self-absorbed, superficial woman, 30-40? I've recently returned to Ldn, 40s, egotistical, slow, uncultured, humourless, for mutual misery. If you want children, hav a nice life!"

oppure

"Amateur hedonist, seeks likeminded F, for restrained decadance. Fit, fun 47 yo, seeks F for walk and increasingly sunny Sundays".

giovedì 8 novembre 2007

Claudio Magris su Praga

Estratto dal Corriere della Sera dell'8 novembre 2007
di Claudio Magris


La Moldava sfocia anche nella Senna; commentando ed evocando la singolare simbiosi culturale franco-céca del primo Novecento, lo scrittore Karel Capek scriveva, ricordando il suo soggiorno parigino del 1911: «Sulla Senna, sulla Moldava, si trova il più bel luogo del mondo». Non è certo strano che nei primi decenni del Novecento anche poeti, intellettuali e artisti praghesi si recassero, come tanti altri dei più vari Paesi del mondo, a Parigi, «metronomo del ritmo della creazione collettiva europea », come la definiva Karel Teige nel Manifesto del poetismo del 1928.
Tra la fine dell'Ottocento e la conclusione della Prima guerra mondiale — ma anche sino all'invasione nazista — Praga è stata periferia e centro del mondo; una capitale dello spirito, avvolta nell'ombra e in un'insicurezza vitalmente esplosiva. Città magica, come l'ha chiamata Angelo Maria Ripellino; città bloccata dalle proprie contraddizioni, che peraltro erano la sua essenza, e che ha saputo fare di questo suo malinconico blocco un osservatorio delle contraddizioni del mondo, una stazione meteorologica dell'apocalissi che stava piombando sull'Europa e in generale sull'Occidente. Città céca dell'impero absburgico con una minoranza a lungo egemone di lingua tedesca costituita a sua volta in buona parte da ebrei, custodi di un patriottismo tedesco che si sarebbe ritorto contro di loro quando l'antisemitismo germanico li avrebbe ricacciati — sradicati come erano dal contesto maggioritario céco — in una terra di nessuno. Da questo stallo, condizione di morte, sarebbe nata una grande letteratura, in céco e in tedesco, che ha espresso come poche altre, con visionaria potenza fantastica e spettrale precisione geometrica, il vicolo cieco imboccato dalla storia occidentale. È ovvio pensare a Kafka, ma quest'ultimo è la punta di un ricchissimo, variegato iceberg austro-tedesco-céco- ebraico, che comprende non solo la letteratura ma pure le arti figurative e le poetiche dell'avanguardia in generale. L'incertezza esistenziale, a Praga, induceva a scrivere, a creare, a inventare un luogo di grottesca identità: «Come, lei è di Praga e non ha scritto alcun romanzo?», chiedeva stupito in treno, secondo una famosa battuta, un viaggiatore al suo occasionale vicino appena saputa la sua provenienza.
Da Praga, odiosamata madre e matrigna, si fuggiva, per recidere il soffocante e vitalmente necessario cordone ombelicale. Ma a Parigi questa fuga diviene radicamento, rinnovamento della stessa cultura francese, creazione concomitante di una nuova cultura. La grande tradizione praghese ha resistito, specie quale sotterranea dissidenza, sino alla Primavera di Praga stroncata nel '68 e sino alla liberazione dell'89. Oggi un adeguamento coatto al modello occidentale rischia di cancellare la plurinazionale civiltà mitteleuropea, di cui Praga è stata un, anzi il, cuore. Forse, per ritrovare quella creatività — surreale, grottesca, medusea, mortale e rigeneratrice — di Praga magica bisogna ripartire da quegli anni parigini, in cui Praga esisteva più sulla Senna che sulla Moldava e i cui fermenti creativi sarebbero anche oggi un anticorpo essenziale per la vitalità dell'Europa e della sua cultura.

Le foto sono mie. Aprile 2007

lunedì 5 novembre 2007

Tokyo. Dove le strade non hanno nome

Dodici milioni di abitanti, una lingua bella da vedere ma che improvvisamente ti riporta allo stato di analfabeta, e strade senza nome. A Tokyo gli indirizzi vanno a zone. Nome del quartiere e numeri civici disposti a caso: non dispari da una parte e pari dall'altra. Tanto meno in ordine progressivo. Quando qualcuno ti invita a casa sua, ti comunica il nome di una fermata della metropolitana, poi ti fornisce, per fax o per e-mail, una cartina dove i punti di riferimento sono palazzi, negozi, ogni cosa possa servire da orientamento.
Anche per i tassisti non è vita facile. I navigatori satellitari hanno migliorato le cose; fino a qualche anno fa era tutto un fermarsi a chiedere informazioni. Ma anche adesso può capitare che il taxista si arrenda, lasciandoti “nei pressi” della tua destinazione. E' là, fa capire: conviene andare a piedi. Salvo poi scoprire che per arrivarci devi fare ancora qualche chilometro.
Eppure a Tokyo non mi sono mai sentita persa. Ci sono città in cui immagini di avere già vissuto. Città che senti nel sangue, nelle orme dei piedi. Tokyo, per me, è una di queste.

sabato 3 novembre 2007

Intervallo tra cap.6 e cap.7

Where's the bridge?
(Dov’è il ponte?)

where's the bridge?
been walking along this wild river
for years now
where's the crossing?
maybe I should stay on this lonely side
it gets so cold sometimes.
my feet are tired.
my heart beats with great strength
but alas....
it is hungry.
a fallen log perhaps?
no such luck yet.
Is there luck anyway?
Pray, give offerings, whisper mantras.
Whistle sweet birdsongs,
believe, hope.

Dov'è il ponte?/Cammino lungo questo fiume selvaggio/Da anni ormai/Dov'è l'attraversamento?/Forse dovrei starmene su questo lato solitario/E' così freddo a volte/ I miei piedi sono stanchi/Il mio cuore batte con grande forza/Ma purtroppo.../E' affamato./ Forse un tronco caduto?/Non ancora una tale fortuna./C'è fortuna da qualche parte?/Prega. Fai offerte, bisbiglia mantra./ Fischia dolci canzoni di uccelli,/fiducia, speranza./