domenica 8 novembre 2009

Emmaus, andata e ritrono

Ho chiuso l’ultima pagina dell’ultimo Baricco e non so che dire. Avevo amato Castelli di rabbia, Oceano Mare e Novecento. Quelli dopo, no. Però avevo continuato a seguire il suo pensiero sui giornali, perchè intelligente. Anche se attaccato e attaccabilissimo (vedi l’uscita della primavera scorsa sui teatri e i finanziamenti alla cultura).

Emmaus è un Baricco che non mi aspettavo, quindi tanto di cappello: gli ultimi erano diventati un clichè, un marcio di fabbrica. Di ottima fattura, certo, ma di scarsa emozione.

Mille anni fa lo sentii a una conferenza, ospite della facoltà di Scienze Politiche che chiamava artisti a parlare del lavoro dell’arte, della creatività. Lui disse una cosa che mi è sempre rimasta in testa, che mi torna in testa tutte le volte che entro in libreria a scegliere un libro nuovo da leggere. “Se comprate un mio libro – disse – comprate un biglietto per un viaggio”. Lo prometteva a un tale dal pubblico che gli aveva fatto una domanda, raccontandogli che un giorno aveva finto di andare a lavorare – in fabbrica, mi pare – poi invece aveva chiamato il suo caporeparto per darsi malato, aveva aspettato nel bar difronte a casa che moglie e figlia andassero a scuola e al lavoro per tornarsene sui suoi passi, mettersi sotto le coperte e leggere un libro di Baricco, non ricordo quale.

Ecco, forse del viaggio di cui Baricco mi ha fatto da guida con Emmaus semplicemente mi frega poco.

Ci sono quattro ragazzi, sedicenni o giù di lì. Cresciuti nella fede, perchè così hanno voluto le famiglie, perchè così la vita ha garanzia di essere più semplice: definita, privata del superfluo, del complesso, delegata a un altrove. Poi c’è Andre, ragazza dal nome da maschio (Andrea, in realtà), cresciuta in un mondo che di definito non ha niente, ma non per questo è più felice, più libera.

Tutto il libro – scritto da Dio, va detto – è attraversato dal senso del peccato. Risultato: mi innervosisce. Attualissimo, se lo leggiamo in parallelo con le cronache di questi giorni (travestiti, droga, sesso). Ma, sebbene casuale e immagino non ruffiana, anche questa coincidenza mi infastidisce anch’essa.

Poi è un viaggio cupo. Ecco cos’è: cupo e dal finale rassegnato. Non erano così i viaggi-libri di Baricco che ho amato: immaginifici.

Insomma, non so cosa sia successo a Baricco, perchè abbia scritto un romanzo così. Forse vale la pena leggerlo comunque, ma alla 139ma e ultima pagina del viaggio-libro sono contenta di essere tornata a casa.