lunedì 30 luglio 2007

Capitolo 1.

Sogno praterie che non ho mai conosciuto, vedo cowboy e cavalli di cui fantasticavo da bambina, acciambellata sulla pancia di papà davanti a un film western.
Sono corsa avanti, mille miglia lontano da qui, da questa ruota da criceto in cui sento intrappolata la mia vita.
Una pagina bianca. E io, solo io e non altri, finalmente, ho facoltà di scriverla. Ma ho paura.






foto di David Koffend

Capitolo 1.


“La vita non è un film di Hollywood”, mi aveva detto.
È vero. Con quella frase mi aveva riportato alla realtà la sera in cui lo avevo convertito al vino, al piacere del bere, anziché le solite birre, una bottiglia dopo l’altra, tracannata per stordirsi in fretta. Tre bottiglie di bianco di Sicilia, fresco. Forse era per quello che la discussione era passata presto sopra le righe. Tutti e due avevamo dato sfogo alla nostra rabbia: la sua per una vita vissuta a pieno ma che, sosteneva, gli aveva lasciato molte ferite, la mia verso una vita che pensavo di non avere vissuto affatto, frenata da mille paure di cui non riuscivo a liberarmi, ma contro cui scendevo in battaglia ogni giorno che Dio mandava in Terra. Col risultato che diventavano sempre più grandi, invincibili.
La vita non è come un film di Hollywood. Vero. Lo avevo scoperto da tempo, ma qualche mese prima di quella calda sera siciliana, un paio per la precisione, mi ero illusa che potesse andarci vicino. Che fosse solo il mio cinismo ad avere spento da tempo, anni, lo schermo per le immagini di una vita in positivo, quello schermo su cui invece ora scorreva un nuovo film.
Il film era quello che avevo visto mille volte da ragazzina, all’età in cui le femmine sognano ancora il principe azzurro, convinte che vivranno felici e contente e che la vita è piena di belle cose, da prendere, da vivere, da respirare a pieni polmoni. Le complicazioni intervengono poi, ma per quello c’è tempo per scriverne.
Lui era piovuto dal cielo su quel metro quadrato di Terra dove non mi sarei mai aspettata di incontrarlo: solito bar, soliti amici, solito niente da fare. E come in un film di Hollywood si era capito subito che il protagonista della storia che di lì a poco stava per essere proiettata sarebbe stato lui.
“Tony”, disse tendendomi la mano, anche se quello non era il suo vero nome.
“Ho circa cinquant’anni”, aveva confessato, rimanendo nel vago. “Faccio l’artista, lo scultore. E giro il mondo”.
“Bello. Una lunga vacanza?”, chiedo io.
“In un certo senso. Vivo così da un paio d'anni”.
“Si vede che sei ricco”.
“Abbastanza per non lavorare”.
“Mi sposi, allora?”.
“Per soldi no. Solo per amore”.
Se era per quello, allora, era fatta: lo amavo già. Era l’uomo dei miei sogni, e si perdoni la banalità. Praterie americane e orizzonti sconfinati, cieli blu e terre rosse: i film western, lo ammetto, avevano nutrito il mio immaginario da ragazzina. Sarà stato perchè li guardavo col babbo, che ne era un fanatico e un cultore. Davanti alla tv, sulla poltrona di velluto giallo del salotto, stava seduto con le gambe allungate sul tavolino di fronte. E io rannicchiata sulla sua pancia. Così fino a che sono diventata troppo grande e ingombrante per farlo; quella scena è una delle poche, o delle più vive, nei miei ricordi di bambina.
A cavallo, in lungo e in largo per quei prati dalle tinte irreali dei primi tv color degli anni Settanta, c’erano solo uomini forti e coraggiosi, semplici e profondi, di buoni sentimenti e di grande, immensa libertà. E quel immaginario mi era rimasto dentro, una volta cresciuta e diventata una donna. Fino a diventare qualcosa di più. L'America era il Mondo Nuovo, la terra dove tutto era possibile, la nuova frontiera dove si poteva ricominciare da capo, costruire dal niente, in mezzo a paesaggi dove la vista si perdeva a inseguire la fine di visioni sconfinate. E non era solo una questione di geografia.
Lui, il protagonista della storia, era così. Era un cow boy. Veniva dalle montagne dell’America, conosceva il verso di tutti gli uccelli e giocava con le lucertole. E aveva, per giunta, una testa che pensava per il verso giusto, una bella testa, di quelle libere, forti, coraggiose e profonde.
Certo, il destino gli aveva complicato un po’ la faccenda: un padre che se ne era andato togliendosi la vita, un fratello morto adolescente e quindi entrato nel mito e nel rimpianto, un altro che stava lontano, chissà dove, conducendo un'esistenza di tutta altra pasta, e la mamma che per lasciare questa vita – ottuagenaria, vabbè – aveva scelto la via di un cancro fulminante al cervello, spirando mentre lui la teneva per mano.
Questo il riassunto del suo mezzo secolo passato in questo mondo. O almeno così me l’aveva raccontata lui, in una cronaca un po’ cruda e frettolosa. Come fosse un medagliere da srotolare, un medagliere di ferite con cui presentarsi al mondo: eccomi qui, sono un invalido dell’esistenza. Era stato davanti a quelle premesse che avevo deciso di riaccendere lo schermo del mio cinema e la pellicola aveva ricominciato a girare.

(1. Continua)

Tra l'Emilia e il West

A ognuno il suo Far West. In Emilia è la "Bassa". Domenica riarsa dal sole estivo e par d'essere in terra di pionieri. Piazze e strade deserte e bar chiusi. Si va saltando da un'ombra all'altra.
Per i vicoli ci sono solo i matti in giro. Qualcuno si affaccia a una finestra, a dar da bere alle piante. Un prete prega inginocchiato in una chiesa-oasi di fresco. Si parte da Borgata Città, quattro case sull'argine e la festa dell'Unità più bella d'Emilia. San Giovani in Persiceto è una metropoli, a confronto.In piazza, un giornale accartocciato rotola nel vento caldo sotto la lapide dei giovani partigiani morti per la libertà. Galeazza, un triangolo di provincia bolognese tra Modena e Ferrara. Il paese, in realtà, è poco più del suo castello. Poi Finale Emilia, Cento e si chiude a Malacappa, che suona ancora degli echi della storia di Arpinati, podestà fascista terrore di Bologna.Alle cinque qualche nuvola e il cielo grigio fanno sperare nella pioggia. Ma è solo un'illusione. Tanto vale un giro in bici, qualcuno inforca ancora una vecchia Graziella. Nel cestino appeso al manubrio anche il gatto, accomodato su un morbido cuscino.
E' il Far West in versione padana. Zavattini e Ghirri, Guareschi e Fontana. I riferimenti si sprecano.


Piccolo diario fotografico della giornata.





















giovedì 26 luglio 2007

Aspettando la Norvegia

Da "La Stampa" del 26 luglio 2006.
Ne sentirete riparlare anche su questo blog.
Buona lettura, per il momento.


Quando la sagoma bianca dell'Hurtigruten attracca al molo di Ålesund, le «segja», ovvero le saghe orali vichinghe raccontate in chiave moderna dagli anziani marinai durante il viaggio su questo storico piroscafo che fa la spola tra i villaggi dei fiordi occidentali norvegesi prendono vita. Knut e i suoi amici, accarezzando i malinconici tatuaggi di sirene sui muscoli torniti della braccia, adesso se la ridono sotto i baffi ancora biondi, alzando l'ultimo dei tanti bicchieri di aquavite ingurgitati allegramente quasi a voler snobbare la rabbia delle onde. Esiste davvero una piccola città affacciata su di una selvaggia fenditura della costa scandinava, attraversata da canali che sembrano gallerie d'arte, specialmente il Brosundet e lo Skansegata, nei quali si specchiano palazzi in stile liberty, sorvolati da nugoli di gabbiani bianchi e grigi. E' Ålesund, l'unico luogo al mondo in cui i pescatori sono gli inconsapevoli possessori di un tesoro dell'arte mondiale. Tutto merito di un incendio e della follia di un imperatore. Nel 1904, infatti, il fuoco «si mangiò» le case in legno di quello che era un piccolo villaggio di pescatori di aringhe, intenerendo il cuore di Gugliemo II. Il kaiser era talmente innamorato di questi luoghi da decidere di ricostruirli facendovi sbarcare un manipolo di giovani architetti norvegesi cresciuti nelle accademie e facoltà di architettura tedesche in piena epoca Jugendstil. E così il profumo del pesce si spande lungo l'Aspegata, la Storgata e il Løvenvoldgada, le strade più scenografiche, tra parure di case in pietra e muratura, alte e slanciate, con i frontoni e le facciate liberty che sbocciano in cuspidi e torri ardite, «inghirlandate» come se dovessero andare a una parata. Le finestre esibiscono vetrate colorate, sui frontoni sono scolpiti volti di donna dai lunghi crini biondi, collane di perle rosa al collo e lo sguardo ammiccante. Questa Venezia in miniatura all'estremo lembo d'Europa ti regala romantiche passeggiate da un isolotto all'altro, collegati da una fitta trama di ponticelli, sino alla collina di Aksla che si raggiunge salendo 418 scalini. Una fatica ripagata dalla vista magnifica sul Geirangerfjord e le montagne del Sunnmøre. I canali di Ålesund sono tempestati di piccoli velieri dagli altissimi alberi in legno su cui svetta la rossa bandiera nazionale norvegese dalla croce nera bordata di bianco, utilizzati per la pesca del baccalà, il piatto locale per eccellenza, da assaggiare al Sjøbua Fiskerestaurant, un magazzino dove sino a poco tempo fa stoccavano il merluzzo. Che non è il solo abitante del Mar di Novergia, come ci si rende conto appiccicando gli occhi alle vasche dell'Aquarium, il parco acquatico più ricco della Scandinavia. Il museo più amato è però quello navale in cui sono custodite e lucidate ogni giorno le navi, i vascelli, che hanno reso famosi per temerarietà i marinai e pescatori dei fiordi occidentali norvegesi, capaci di raggiungere indenni persino Boston a bordo di scialuppe di metallo. Anzichè tornare a Bergen in battello, ci si può avventurare in automobile lungo quei nastri di terra a mollo nel Mar di Novergia che sono le strade panoramiche Trollstigen e Atlanterhavsveien, dove si guida a pelo d'acqua, oppure spingersi nei tunnel sotterranei che collegano Ålesund al ghiacciaio di Briksdalsbreen, per fare trekking sino alla sua vetta tempestata di cristalli di roccia. Oppure farsi inghiottire dall'oscurità della strada sotterranea che porta all'isola di Godøy dove nel piccolo borgo di Alnes, i pescatori siedono intorno al faro e tra una Lunga boccata di pipa e l'altra, si raccontano storie di balene, onde e increduli ammaraggi. COME E DOVE In volo e in battelloÅlesund si raggiunge volando con Sas dall’aeroporto di Milano Malpensa ad Oslo e da lì a Bergen al quale è collegata con numerosi voli giornalieri. Il prezzo complessivo si aggira sui 600 euro. Il viaggio è più avventuroso e panoramico a bordo del battello Hurtigruten che salpa da Bergen navigando tra i fiordi fa scalo a Florø (http://www.hurtigruten.com/) Si può dormire alla Brosundet Gjestehus, un antico palazzo nobiliare, in cui la doppia parte da 120 euro (Apotekergt.5, tel. 0047.70121000), oppure all'Hotel Scandinavie, palazzo in stile liberty, doppia da 160 € (Løvenvoldgade 8, tel. 0047.70157800). Per informazioni, ente novergese per il turismo, tel. 02.55193588.

lunedì 16 luglio 2007

Qui comincia l'avventura...


Cominciano oggi le pubblicazioni del Blog "Se sei bello ti tirano le pietre". Non so ancora bene che cosa vi troverete dentro. Sicuramente racconti di viaggio e di invenzione, articoli e commenti, idee e sogni nel cassetto. Una seduta analitica on line, un diario personale e pubblico al tempo stesso, un taccuino di appunti. Buon viaggio, a chi avrà voglia di seguirmi. Per gli altri, basta un click e si chiudono le trasmissioni.