mercoledì 17 settembre 2008

leggi e impara (come si scrive)....se vuoi fare il giornalista


NEW YORK - Renato Miracco, direttore dell´Istituto italiano di cultura, per due volte si prende gli applausi dei giornalisti americani: si inchina, quasi concede il bis del tour inaugurale fra i quadri di Giorgio Morandi nelle sale del Metropolitan Museum. Maria Cristina Bandera, signora discreta e possente della Fondazione Roberto Longhi, porta in giro un pool di italiani entusiasti. Carlo Zucchini, eterno, volontario «giovane segretario» del Maestro, si trascina dall´uno all´altro con il suo borsone da cui ti aspetti che ogni istante spunti Giorgio Morandi, l´aria burbera e gli occhiali sulla fronte che chiedono «perché?». Attorno un´aria sacrale, sacralità umbratile, dove, anche se nessuno qui lo sa, paiono scivolare le ombre di via Fondazza. E alla sera - Bologna non si smentisce, New York nemmeno e scusate le proporzioni - può persino irrompere una festa cultural-mondana in cui provincia e impero fanno chiacchiericcio insieme. Of course undestatement. Festa morandiana.Benvenuti alla mostra di Giorgio Morandi a New York. Centodieci opere al Metropolitan Museum, in un gioco di sale, corridoi, porticati, piazzette, giardini interni, luci e ombre ai piedi di una scalinata. «Bisogna riscrivere la storia dell´arte del ?900», ammonisce Philippe de Montebello, il plenipotenziario direttore che lascia alla fine del 2008 dopo trent´anni di governo assoluto. «Modern Master» presentano la «rectrospective» del maestro bolognese. «Nel mio mondo ideale - ha scritto Peter Schjeldhal sul New Yorker - la casa di chi ama l´arte dovrebbe contenere un dipinto di Giorgio Morandi, come palestra di un quotidiano esercizio per gli occhi, la mente, l´anima». E´ questo l´approccio con cui New York si avvicina e viene avvicinata al pittore bolognese. E qui scatta subito una nota che ognuno può prendere come vuole: cronaca, politica, cultura, chiacchiericcio, sciocchezzaio. Nella gran mostra, a cui Bologna ha avuto immensa parte, Bologna appare solo con un lumicino. Nell´organizzazione, con il MAMbo - Museo d´Arte Moderna di Bologna affiancato al Metropolitan Museum. In una citazione fra parentesi sulla provenienza delle opere (collezioni private, Museo Morandi di Bologna, Fondazione Magnani-Rocca). Nell´elenco dei saggi contenuti nel catalogo di Bandera-Miracco, dove appare Lorenza Selleri, «curator, Museo Morandi». Più ovviamente nel fatto che Morandi sia nato e morto sotto le Due Torri.Da nessuna parte si ricorda che a Bologna c´è l´unico museo dedicato al pittore di via Fondazza. Non si parla di strade, atmosfere, progetti. Morandi è raccontato da Piero della Francesca a Federico Fellini. Bologna non è nemmeno uno scenario sfocato nella mostra del Met. Giusto per un pittore che solo il provincialismo più ridicolo può definire «bolognese»? Ai posteri, ai critici, ai politici, ai mondani l´ardua sentenza. Forse anche di questo Bologna con le sue ambizioni può ragionare. Lorenzo Sassoli, presidente del MAMbo, Gaetano Maccaferri, n.1 di Confindustria, pure Andrea Babbi, direttore dei servizi turistici regionali, avevano cercato, con inglese (americano) e motivazioni diverse, di far includere qualche riferimento. Ma il Met non ha ascoltato.L´impero e la provincia? La festa comunque è stata dolce ed affettuosa, di una provincia che sa trovare lo stile. Soprattutto quando dalle pareti ti guardano i quadri di Morandi. Alla mattina la presentazione per la stampa, con Cristina Bandera e Renato Miracco a fare da ciceroni, Lorenzo Sassoli e Gianfranco Maraniello, il MAMbo direttore, da sobri padroni di casa e insieme attenti ospiti ospitati. Alla sera tout Bologna; sono arrivati in tanti dalle Due Torri. Angelo Guglielmi, l´assessore in giacca azzurra per il Comune. Gli imprenditori colti in blu, con e senza mogli. E´ spuntato pure Romano Prodi, al suo primo giorno di lavoro all´Onu, a pensare ai meccanismi di pace per l´Africa. Poco prima era entrato, senza annunci né ricevimenti, Luciano Violante. Subito dopo è arrivato, con annunci e ricevimenti, Giuliano Ferrara, sempre più somigliante, dai baciamani ai papillon, a un Balzac era-Berlusconi. E, incredibile per un vernissage, erano molti di più quelli che guardavano i quadri di quelli che si guardavano addosso.

MARCO MAROZZI

(da La Repubblica - Bologna, 17 settembre 2008)

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