lunedì 31 dicembre 2007

Love is a losing game


For you I was a flame,
Love is a losing game
Five story fire as you came,
Love is losing game
One I wish I never played,
Oh, what a mess we made
And now the final frame,
Love is a losing game
Played out by the band,
Love is a losing hand
More than I could stand,
Love is a losing hand
Self professed, profound
Til' the chips were down
though you’re a gambling man
Love is a losing hand
Tho' I battled blind,
Love is a fate resigned
Memories mar my mind,
Love it is a fate resigned
Over futile odds,
And laughed at by the gods
And now the final frame,
Love is a losing game
http://it.youtube.com/watch?v=4L9-AvjsB6g

Amy Winehouse

Buon anno a tutti. F.

venerdì 28 dicembre 2007

Tokyo. Taxi in guanti bianchi


Sulla strada dall'aeroporto il mio occhio è catturato dai lucidissimi taxi variopinti. A fianco dei grandi hotel, dietro l'angolo dell'ingresso, ne stazionano giorno e notte file intere. Basta un passo fuori dalla porta girevole e te ne trovi uno davanti ai piedi. Ma guai ad allungare la mano verso la maniglia! La porta è automatica: si apre da sè. La comanda il guidatore, al momento giusto per farti salire, altrettanto per scendere.
Non c'è taxista che non sia in giacca, panciotto e cravatta. Lindo e inamidato. Come la sua vettura. Mai salita su una macchina (gialle, verdi, rosse: hanno colori sfavillanti) che non fosse tirata a lucido, come un pavimento di marmo a cera. Ti viene da pensare che appena smette di piovere ci sia qualcuno deputato ad asciugare, in corsa, la carrozzeria.
All'interno sembra il salotto buono delle zie negli anni '50: foderine immacolate e profumate sui sedili, poggiatesta ricoperti di pizzi. Di fattura industriale, ma non per questo meno fanée di quelli confezionati a mano con spirito di devozione e sacrificio.

mercoledì 19 dicembre 2007

Libri e rompicoglioni

Grazie a Dio che ha inventato i libri e chi li scrive. Sabato mattina un uomo pernicioso è stato allontanato dalla mia casa dove intendeva piantare le tende, lui e il suo karma negativo. 'No way'. Niente più spazio per tutto ciò. Se ne è andato, riluttante, lasciandomi un ricordo: 'pagherai per questo'. 24 ore dopo ero bloccata a letto con quella che si sarebbe rivelata una sospetta ernia del disco.
Difficile fare qualsiasi cosa. Anche queste poche righe si stanno rivelando uno sforzo non da poco.
Ma per fortuna che Dio ha inventato i libri e chi li scrive!
'Mio nonno sosteneva che i libri sono il modo migliore per viaggiare', dice uno dei protagonisti di un bel film sull'India e dintorni, Il destino del nome. Proprio così. Già lo avevo pensato anch'io, nel mio piccolo, l'anno scorso, a bordo di un taxi su quella che in India hanno il coraggio di chiamare un'autostrada.
Così, in questi giorni di immobilità forzata sto viaggiando lungo le pagine di molti libri.
Philip Roth, Patrimonio. Con gli anni Roth, che non è mai stato un allegrone, è diventato sempre più cupo, più vicino alla morte. Qui quella dell'anziano padre, a causa di un cancro al cervello. Cronaca autobiografica, è vero, ma con quella capacità di tirarci fuori un sentire universale. Sarà banale, ma è ciò che fa la differenza tra un genio e un compila-pagine.
Ian McEwan, Chesil Beach. Ovvero del sesso prima della rivoluzione sessuale. Ma non solo sesso. Anche della crudeltà, della violenza che due che si sono appena giurati amore eterno possono scatenarsi l'uno contro l'altra. Magistrale la descrizione degli odori che diventano fastidiosi, gli imbarazzi che diventano repulsioni, l'estraneità di corpi che non si capiscono, non si riconoscono.
Ora, invece, il mio viaggio si è fermato a New York, precisamente al Cafè Julien di Dawn Powell. Washington Square, cuore del Village da cui transita una varia umanità raccontata con grande forza, genialità di una donna bruttina, dalla vita travagliata, che nella scrittura trovava il suo antidolorifico. Il suo riscatto, espressione della sua forza.
Grazie a Dio che ha inventato i libri.

P.S. Io non credo nel malocchio, ma credo nell'aura negativa di certe persone, rabbiose nei confronti della propria vita, ma talmente incapaci di farsene carico da scaricare sugli altri la propria rabbia. Il gioco, per quanto mi riguarda, è finito: io non mi presto più. Astenersi rompicoglioni!

martedì 4 dicembre 2007

Tokyo. La città in guanti bianchi

L'aeroporto di Narita, non so quante centinaia di voli giornalieri, è il primo passo nell'ovattato mondo giapponese. Posando i piedi su una moquette soffice soffice, arrivi al controllo delle carte di sbarco indirizzato da un tale in divisa e guanti bianchi che con un inchino ti fa prendere posto in una fila che scorre veloce.
Dieci, venti minuti al massimo e sei sul primo marciapiede all'uscita dall'aeroporto, inspiegabilmente e invisibilmente condotto alla fermata delle linee Limousine; impensabile un nome meno lussuoso. Sono gli autobus, economici a dispetto del nome, che ti portano in città, direttamente agli hotel. Un addetto ti accoglie: con una mano strappa il biglietto, con l'altra ti indica la scaletta per salire. Altri, prontamente e ordinatamente sistemano nel bagagliaio le tue valigie.
Il viaggio dura un ora circa e per buona parte non è possibile vedere granché dal finestrino. La superstrada corre tra due muri di protezione e dall'alto spunta, di tante in tanto, l'ultimo piano di un hotel, l'insegna di una fabbrica e la scritta gialla, riconoscibile urbi et orbi, dell'Ikea. A destinazione, sul marciapiede altri due personaggi in divisa - non chiederti come - hanno individuato le tue valigie e le hanno già allineate ad aspettarti. Anche loro indossano guanti candidi.