martedì 21 ottobre 2008

Ancora la mia Tokyo

Pubblico volentieri e con lusinga la recensione che Michele Smargiassi, inviato e giornalista che si occupa con sapienza di fotografia, ha scritto su Repubblica di oggi a proposito del mio libro Tokyo sui miei passi.

"Alla riscoperta del Giappone perduto"
di Michele Smargiassi

Il Giappone è stato il nostro primo impatto con la modernità orientale: grattacieli e macchine fotografiche, motociclette e turisti a torpedoni interi, simili a noi e diversi da noi, con tutto lo straniamento di vedersi in uno specchio che ci imita senza corrisponderci. Poi è venuta la Cina, poi è venuta l´India, la globalizzazione ha preso il loro volto, e il Giappone improvvisamente è regredito a modernità esotica vintage, sempre un po´ estranea ma, come dire, resa più familiare dalla patina del tempo. Dunque mostrare il Giappone, come fa Francesca Parisini con le sue foto e le sue parole in Tokyo sui miei passi (Pendragon editore, 12 euro), non è far scoprire ma far riscoprire, ripensare un´immagine che già abbiamo archiviata da qualche parte; aggiornarla, ripitturarla perché s´era un po´ scrostata, stinta, all´ombra delle altre tigri asiatiche. Non è viaggio, non è reportage né diario questo librino da "leggere", ma nel senso del pokerista che spulcia le carte una ad una con lentezza: è un lavoro di manutenzione iconografica, che richiede al lettore il tempo giusto. Niente fretta. Lavoro di manutenzione dello sguardo, lavoro di sguardi: Francesca sostanzialmente vede, e indica quel che vede, come potrebbe fare una compagna di viaggio seduta sul sedile a fianco del taxi. Vede anche con le parole, vede anche le parole (il giapponese è per lei soprattutto "una lingua bella da vedere"); la divisione del lavoro tra testo e immagini le viene facile: parafrasando Man Ray, fotografa quel che non può raccontare e racconta quel che non può fotografare. Nei brevi testi inframmezzati che non raddoppiano mai le immagini non c´è lo stupore ingenuo della scoperta ma neppure la noia del già visto: dolcemente, ci conferma o ci smentisce un luogo comune qua, corregge uno stereotipo là, ne asseconda ironicamente un altro: il sushi, il nitore profumato dei taxi, la cortesia, l´ordinata anarchia urbanistica. La macchina fotografica la segue come un cagnolino, a volte scodinzola di eccitazione (e la foto viene mossa) a volte si ritrae un po´ spaventata (e i colori si fanno lividi). Francesca Parisini non ha una teoria della fotografia, ha una fotocamera. È una fotografa (ma perché nessuno vuole più farsi chiamare fotografo?) ma soprattutto fa fotografie. Il suo libro non è patinato e anche le fotografie della mostra di cui è il souvenir (fino al 22 ottobre all´Aemilia Hotel di via Zaccherini 16) non lo sono, escono direttamente dalla stampante, perché Francesca ama la carta ruvida su cui da anni scrive come giornalista. Da Tokyo è tornata con un esperimento sul mestiere di guardare dal vero e di raccontare il guardato. Un esperimento sull´esperienza, dice lei. Una cosa che la presunta civiltà del simulacro non riesce ancora a simulare bene.




da Repubblica Bologna del 21 ottobre 2008

sabato 18 ottobre 2008

Bologna? Basta saper scegliere

Ci sono giorni in cui, forse, Bologna non è la peggiore città al mondo in cui vivere. Basta sapere fare lo slalom tra le salumerie grasse, le boutique di gusto dozzinale, i bar dalla maionese stantia, basta schivare i bolognesi che in queste salumerie si nutrono, in queste boutique si vestono, in questi bar indugiano.
Basta saper scegliere, come sempre nella vita, del resto. E se sai scegliere, qualche sorpresa ne hai.
Come la mostra "Estro e splendore" al Museo Civico Archeologico fino all'11 gennaio (è gratis, per giunta). Sono le xilografie giapponesi di un privato collezionista passato ora a miglior vita (mi pare. se mi sbaglio: lunga vita!). Sono stupende; t'incanti. C'è una sala, l'ultima, che espone - cosa rara, dicono, in Italia - le stampe per bambini. Quelle 'encicolpediche' per esempio, raffiguranti mille tipi diversi di pettini o spilloni da capelli (sono giapponesi.....), o quelle con le bamboline di carta da tagliare e rivestire. Ma in mini-formato e con 'stoffe' ricercatissime anch'esse nella miniatura.
Poi aperitivo all'Osteria del Sole, che ha riaperto. Il vino è pessimo, e se lo capisco io che non sono un'intenditrice.....ma ci si va per l'atmosfera, per i muri coperti di foto e dipinti improbabili, per la gente che sempre ci trovi.
Pomeriggio: Italo Zannier in biblioteca, in Cineteca. "Se i giovani sapessero - dice il maestro - quanti archivi fotografici sono ancora da scoprire, quanto c'è da fare nell'archeologia fotografica".
Segue la spesa, le chiacchiere e una tazza di tè con Oscar. Non c'è tempo per tutto e rimane persino fuori l'apertura di una piccola mostra di foto da Piccolo Formato.
A chi si lamenta che a Bologna non c'è mai niente da fare. Me per prima.

La Gerusalemme di Abraham B. Yehoshua

di Francesca Parisini
Gerusalemme è la protagonista del suo libro più bello, Il signor Mani, ma non c'è suo romanzo che in qualche modo non tocchi la Città Santa. Come nell'ultimo, Fuoco amico. "Anche quando la trama si svolge altrove - racconta Abraham Yehoshua - i miei romanzi prima o poi vi approdano tutti, attingendone un’energia particolare, metafisica, kafkiana, o derivante da legami familiari. Gerusalemme rimarrà sempre alla base delle mie opere; non credo che scriverò mai un libro in cui questa città non faccia la sua comparsa almeno una volta". Della sua Gerusalemme lo scrittore israeliano parlerà il 25 ottobre (ore 17) al Teatro della Cavallerizza di Reggio Emilia, ospite del Festival dell'Architettura.
Quale è la sua Gerusalemme, quella privata?
"Gerusalemme è la città in cui sono nato e dove la mia famiglia ha vissuto per generazioni. I miei avi vi si trasferirono da Salonicco all’inizio del XIX secolo. Mio padre era un orientalista e pubblicò 12 volumi sulle usanze e sul folclore dei sefarditi della città e sui loro rapporti con ebrei e arabi. La città per me non è quindi tanto un simbolo religioso, quanto un luogo reale, vivo, in cui ho trascorso i primi 27 anni della mia vita, ho frequentato l’università, preso moglie, comprato il primo appartamento, e di cui, grazie ai libri di mio padre, conosco bene il passato. Durante la mia adolescenza e gioventù la città era divisa e le strade erano attraversate da un confine internazionale minaccioso che separava due stati nemici, Giordania e Israele. I simboli religiosi, legati ai luoghi sacri dell’ebraismo, del cristianesimo e dell’islam, mi furono accessibili solo dopo la conquista della zona est della città da parte degli israeliani, con la guerra del '67. A quel tempo, però, avevo già deciso di stabilirmi a Haifa, per sfuggire all’opprimente peso simbolico e politico di Gerusalemme. Sotto il dominio israeliano la città si è ampliata in modo sproporzionato, per motivi politici e nazionalisti, e quando torno in visita preferisco rimanere nei posti che mi sono familiari e nelle zone laiche della città".
Gerusalemme è città simbolo per cristiani, cattolici e mussulmani: in che modo questo ne ha influenzato l'architettura?
"I luoghi sacri alle varie fedi, le moschee, le chiese e le sinagoghe, non furono edificati sotto un unico dominio politico; ogni nuovo conquistatore (romani, arabi, crociati, ottomani, inglesi e infine ebrei) faceva costruire i suoi. Così la città risulta un insieme di sovrapposizioni. All’inizio dell’era cristiana il tempio degli ebrei fu distrutto dai romani e, dopo la conquista araba del VII secolo d.C., sulle sue rovine fu edificata una grande moschea. Del tempio è rimasto solo un piccolo muro di pietra pateticamente appiccicato a una magnifica moschea islamica. È il luogo più sacro agli ebrei. Dopo la loro vittoria sugli ottomani gli inglesi imposero un nuovo ordine ai luoghi sacri e altrettanto fecero gli israeliani nel '67. La concentrazione di luoghi sacri nella città vecchia, in una zona di un solo chilometro quadrato gonfia di tensioni e ostilità, fa sì che la vita della Gerusalemme moderna sia molto differente da quella della città vecchia".
Quale è la sua città ideale?
"Io vivo in Israele e l'idea di città ideale è immancabilmente legato all’ambiente in cui vivo. A Haifa, ebrei e arabi, laici e religiosi, convivono in armonia. La contiguità di mare e collina è per me fonte di ispirazione e la laicità di questa città, da sempre governata da una giunta socialista, ben si concilia con le mie convinzioni ideologiche".
Molte città del mondo stanno perdendo la propria identità a causa della globalizzazione. Gerusalemme corre questo rischio?
"La globalizzazione può danneggiare il carattere peculiare delle città. Le tradizioni vanno preservate a ogni costo, così come i vicoli e i vecchi quartieri. Si deve fare il possibile per non deturpare il centri antichi delle splendide città europee, soprattutto italiane. Spero che l’odierna crisi economica ponga un freno all'incontrollato sviluppo edilizio, alla costruzione di palazzi anonimi e di grattacieli mostruosi, e faccia sì che l’architettura riacquisti più modestia e umanità".
Recentemente lei ha visto "L'istruttoria" di Wiess messa in scena a Tel Aviv dal Teatro Due di Parma. Cosa ne pensa?
"È un’opera straordinaria, scritta con coraggioso in un periodo in cui si parlava poco della Shoah. Mi sono concentrato in particolare sulla recitazione degli attori e sulla regia che mi sono parsi intensi e particolari. La pièce gira da anni nei teatri italiani e questo fa onore allo Stabile di Parma e al pubblico italiano, disposto ad affrontare un tema tanto complesso".
Il Teatro Due porterà in scena, a Parma, il suo libro Una notte di maggio. Come è nata la collaborazione?
"Non è la prima volta che le mie opere vengono rappresentate in Italia: è stato tratto un film dal romanzo L’amante e la pièce teatrale Possesso è stata interpretata dalla straordinaria Franca Valeri. Di recente anche i fratelli Taviani hanno manifestato interesse per un adattamento cinematografico di Fuoco amico. Quanto a Una notte di maggio proposta dal Teatro Due, conosco questo teatro e la serietà del suo lavoro: sono certo che la messinscena rispecchierà fedelmente lo spirito dell’opera".

Abraham Yehoshua sarà a Parma, al Teatro della Cavallerizza il prossimo 25 ottobre (ore 17), ospite del Festival dell'Architettura.

Questa intervista è apparsa su La Repubblica - Bologna del 18 ottobre
Anche le immagini sono mie, scattate in un viaggio in Israele del 1994

domenica 5 ottobre 2008

Tokyo sui miei passi - Rassegna stampa


La mostra "Tokyo sui miei passi" è aperta all'Aemilia Hotel di via Zaccherini Alvisi 16, Bologna, tutti i giorni dalle 9 alle 23.





Fotografia e Psicoanalisi

Fotografo sarà dunque colui che, attraverso gli infiniti oggetti offerti alla sua curiosità, si insinua con un istinto sicuro "tra un atto e l'altro", per citare Virginia Woolf: abbastanza sciolto, abbastanza leggero, abbastanza sottile per evitare i luoghi, i momenti o le circostanze in cui la vita si condensa o si annoda con eccessiva forza o eccessiva evidenza. Se non evitasse tutto questo, potrebbe ricavarne solo qualche frammento di storia, un pezzo d'archivio, un saggio di moda o un esempio aneddotico. Quello a cui mira è invece la normalità quotidiana, la bonaccia della vita, non ciò che si distingue ma ciò che si somiglia. Poeta dell'identico, non del diverso. Coppie che danzano, un gruppo di seminaristi, un bambino che sorride reggendo tra le braccia due bottiglie, gente che dorme, che prega, che pensa, che sogna - soprattutto che sogna, l'universo di Cartier-Bresson è popolato di sognatori, colti in quell'istante fugace di vacanza, in cui possono abbandonarsi meglio e come disarmati: spigolate nelle distese planetarie, queste immagini che un particolare localizza e data esattamente - una cassetta delle lettere, un'insegna, una iscrizione, un'uniforme - hanno tutte lo stesso sapore singolare di quotidianità, come agli occhi di Giacometti nello spazio esiguo dell'atelier una sedia, un lampadario, una mela sulla tavola, un uomo in piedi o un volto.
Il problema è dunque questo: da dove nasce, in questo identico, il suo gesto del singolare. Walter Benjamin ha paragonato una volta la fotografia alla psicoanalisi. La fotografia si informa, così dice, sull'inconscio della vita comune come la dottrina freudiana sulle pulsioni inconsce. La sua osservazione coglie un problema di ordine fisico. L'istantanea ci svela un aspetto della realtà che coscientemente, e per così dire fisiologicamente, non abbiamo mai visto.
Ma la possibilità tecnica di suddividere ad infinitum il movimento nel tempo ci induce anche a una fantasticheria di ordine metafisico. Dove e quando, esattamente, il mondo si coglie? Si sono potute rifiutare le argomentazioni di Zenone, ma non si rifiuta una fantasticheria a cui la fotografia ha oggi dato corpo. nel tessuto delle apparenze esistono dunque discontinuità infime attraverso cui, "tra un atto e l'altro", l'occhio del fotografo si insinua e crede di scoprire senso? Esistono momenti in cui si forma una combinazione di elementi che sembra dipendere da un ordine intellegibile? Possono essere l'incontro di qualche tratto dominante in una configurazione aleatoria, l'incrociarsi di un uomo che cammina e di un oggetto inanimato, o semplicemente l'accordo fugace di un'ombra e di una superficie luminosa.
Una simile metafisica postulerebbe che il mondo visibile celi un senso persino laddove i nostri occhi non distinguono nulla. E se esiste un senso delle pulsioni come la psicoanalisi ci insegna, esiste anche, in questo "incosciente dello sguardo" che la fotografia rivela, un continente da scoprire. E il fotografo accorto sarebbe colui che, al pari dell'analista accorto, possiede quella "attenzione fluttuante" che Freud raccomandava ai suoi discepoli.
Di quel che si presenta al suo sguardo egli non deve privilegiare nulla a priori, deve lasciare che si concatenino liberamente le cause e gli effetti del mondo visibile, mettere tra parentesi il proprio gusto, il proprio giudizio, non "focalizzare" nulla. E' solo allora che potrà trarre dal reale - senza averlo alterato - quello che, in apparenza insignificante, si rivelerà in seguito come il più ricco di significati.


da: Jean Clair

Henri Cartier-Bresson tra ordine e avventura

Abscondita