sabato 18 agosto 2007

Capitolo 3

3.


Il capitolo Santa Fe è chiuso. Laggiù non è rimasto più niente, se non ricordi e qualche buon amico. Caricare il camion preso a noleggio ha richiesto il suo tempo, vista la quantità di roba. Poi bisognava che tutto fosse legato ben stretto e sicuro, per resistere al vento e agli impervi passaggi di montagna. La collezione di oggetti di mia madre era già stata imballata in modo professionale nei mesi scorsi, in scatole robusto e adatte per il trasporto. Così, perlopiù è stato come comporre un puzzle. Poi, però, c’erano le mie cose: sci, chitarre, tamburi, biciclette, vestiti ed ancora vestiti, mobili, cose per la cucina, utensili e 15 meravigliose coperte polacche, iraniane e degli Indiani d’America. Nell’insieme, un carico pesante.
Non siamo riusciti a mettere tutto sul portapacchi, per cui ci è toccato di caricare la mia Volvo Station Wagon del '78: Jacques al volante del camion, con il suo piccolo, pazzo terrier belga, io alla guida della station wagon. Davanti a noi 400 miglia, circa 580 chilometri, attraverso il deserto del New Mexico settentrionale, poi su per le montagne e le vallate del Colorado meridionale.
Con un occhio alla strada e l'altro su ciò che mi sta intorno, osservo antilopi tra i cespugli di artemisia, aquile dorate contro il cielo di un blu solido, cervi sul bordo della foresta. Nonostante il rumore del motore della mia macchina, sento l’acuto, dolce richiamo del maschio dell’allodola. Vedo volare tra i pendii uccelli neri con le ali tinte di rosso, impegnati nei loro volteggi, mentre i maschi inscenano schermaglie con le femmine, ansiosi di cominciare la costruzione del nido.
Più ci inoltriamo nelle terre del Colorado, selvaggio e disabitato eccetto che per qualche ranch isolato, e più ci ritroviamo a guidare attraverso centinaia di miglia di cielo blu cobalto. A nord e ad est si vedono cime infuriate e coperte di neve, lontane forse 200 miglia, e fiumi che scorrono attraverso i prati d’alta quota. Ci sono alcune nubi ora, e le loro ombre si muovo di scatto sulle cime delle colline che corrono veloci davanti ai nostri occhi. Talvolta le acque sono rosse, per la terra lavata via dalla pioggia. Passiamo lungo la Blue Mesa Reserviour, la più grande riserva idrica del Colorado, con il sole che balla sull’acqua increspata dal vento. Un'aquila pescatrice vola di fronte alla mia macchina, in direzione dei laghi e dei pesci, non più distante da me di una decina di metri. Riesco a vedere i suoi occhi attenti, puntati forse verso l’ombra di una trota. Procediamo ora giù verso i monti occidentale del Colorado. Le piantagioni di banana, la terra fertile e le acque abbondanti che annaffiano gli alberi di ciliegie, pesche, albicocche, pere, prugne, nettarine e mele.
Siamo nel momento più caldo della giornata, le quattro del pomeriggio, e nonostante i finestrini aperti, comincio a sudare. Più tardi verremo a sapere che questo è il giorno più caldo dell’anno, al di là di ogni media stagionale. Il riscaldamento del Pianeta incombe sopra le nostre teste.
Quando ci fermiamo per fare benzina in una piccola città, e per dare al cane una pausa, il caldo mi fa venire in mente la stagione premonsonica nella lontana Asia. Ci si potrebbe friggere un uovo sul lato della strada o sull’asfalto del parcheggio. Attorno a noi ci sono ristoranti, fast-food, stazioni di servizio, discariche di automobili, aree di sosta per i camion. E ancora negozi di armi e di articoli sportivi, dinner e outlet di paramenti da cavallo. Un motel di periferia, forse vecchio di vent’anni, con su una scritta scrostata da cui ancora si legge “disponibilità di stanze con la tv a colori”. Spunta un cimitero, con alcuni alberi a fare da ombra: ci entriamo, tanto per far correre un po’ il cane, il quale, ovviamente, trova subito una pozza d’acqua stagnante e piena di fango. Quando torna da noi, è tutto sporco ma felice, e puzzolente come un cesso. Così mi tocca di tornare indietro in città per recuperare qualche litro d’acqua per lavarlo.
Avanti ancora, verso Paonia, Colorado.
Quando ho venduto la mia casa di Aspen quattro anni fa, a Paonia ho traslocato tutte le cose accumulate in 35 anni di vita, impacchettate in un grande magazzino che costa un quarto di quello di Santa Fe o di quello di Aspen. Guidiamo lungo cittadine di allevatori soffocate dal caldo e tra comunità di bandiere sventolanti. Sulla strada grandi pickup con i loro fucili che penzolano dal finestrino posteriore e con i loro rivoltanti adesivi con le scritte "God Bless America”, “America - Love it or leave it”, “Support our troops” o “Jesus is the answer". Questi mostri enormi, quasi tutti con solo il guidatore a bordo, e con la radio locale che erutta musica country, sorpassano la mia station wagon emettendo schifezze tossiche, consumando probabilmente mezzo gallone di petrolio raffinato solo per quella manovra.
Appena si posano su di me, vedo i loro occhi carichi di duro lavoro, di un ego che si giustifica da solo e machismo e pregiudizi nei miei confronti a causa dei tanti, controversi adesivi che ricoprono il retro della mia strana jeep da safari, che fa paura, rompe la calma piatta, prende un’altra strada, forse un po’ per ‘provokazione’.
Ma qualcuno lo deve pur fare. E questo è non è niente in confronto ai giorni in cui guidavo un Maggiolone Volkswagen con un iguana imbalsamato lungo quasi un metro come ornamento.
Dove ero rimasto? Oh si, alla piccola città di Paonia; un'ora e mezza di machina da Aspen, trequarti d'ora se sei un corvo. Dolcemente siamo arrivati, ma stanchi e con la schiena contratta in un nodo di tensione. Siamo finiti in un motel lungo la strada, troppo costoso, ma in buona posizione. Sono stato costretto a pagare altri venti dollari per l'animale domestico, dal momento che il divieto Non-è-consentito-tenere-nessun-animale-domestico è in realtà solo una maniera per la direzione per fare su più soldi. Avrebbero dovuto essere loro a pagare per il divertimento ricevuto dalla conoscenza con Nuget, il nostro compagno di viaggio canino, dal momento che se ne sono subito innamorati, come chiunque del resto.
Ok....qui ci vuole una piccola pausa....spero che tutto questo ti risulti interessante e in qualche modo ti aiuti a farti un'idea. Chiudo velocemente, sebbene potrei continuare per ore. Immagina se mi spingessi indietro con il racconto fino alle piantagioni di thè nello Sri Lanka, e alle cerimonie e ai riti degli indiani del Messico. Ma questa è un'altra storia, sebbene parte dello stesso libro.Ecco qui, allora, oggetti d'arte e memorie, vecchie foto di mia madre e la sua sterminata (e pesantissima) libreria, le tele di quel famoso artista folk indiano e la testa di drago da cerimonia impacchettata nella più grande di tutte le scatole (circa un metro per un metro) che in qualche modo sono riuscita a trasportare fin qui, in questa cittadina di facce rubizze, bandiere sventolanti e frutti che crescono a dismisura, in questo tardo pomeriggio di una primavera arroventata. Le maschere da cerimonia dei vecchi sciamani del nord sono nelle loro scatole scure, con i loro feticci di pesci, corvi, sole, terra, uomini, alberi, acqua, cervi. Tutti scolpiti con lentezza e rispetto, nello spirito e alla maniera dei nativi americani.
Il grande Rauschenberg con dedica a mia madre, il Roy De Forests, il suonatore di piano con la sigaretta nella mano, opera di quel famoso e scandaloso artista messicano di cui ora non ricordo il nome, il dipinto meraviglioso di un uomo che fischia all'uccellino che canta sulle sue ginocchia e che mia madre comprò a Berlino mentre faceva la crocerossina durante la seconda Guerra Mondiale. Ora è tutto qui, in scatole sicure e costose: S23, S11, S2, S37, S-qualcosa. S sta per Sam, sono le mie cose, mentre le J, quelle di Jan, mio fratello, sono ancora ferme nel magazzino di Santa Fe. Forse un giorno se ne occuperà, forse no. Conoscendo sua moglie Louise, potrebbero anche già averle vendute al migliore offerente. In questo modo riuscirebbe a passare di grado nella sua scala di valori, comprandosi una Jaguar al posto della Mercedes che usa per fare la spola avanti e indietro dalla scintillante LA.
Ooops, sto uscendo dal seminato, devo tornare indietro all'avventura.Non appena le prime luci hanno cominciato a picchiare le cime più alte delle montagne ancora innevate, Jacques e io eravamo già a colazione in una piccola tavola calda. Era piena di minatori, svegli all'alba per il lavoro, o appena smontati dal turno di notte. Il parcheggio pieno di pickup, grandi e sinistri. Mi concedo un pasto caldo e un caffè, pensando "non sono poi così diversi da me". Fanno il meglio che possono, cercando di giocarsi al massimo quel poco che gli è stato dato in sorte. Compassione, ne ho ancora un po' qui, dentro di me.Ed eccoci nel nuovo magazzino: tutto è scaricato e sistemato in due ore. Mi sento sommerso dalla quantità di cose, beni bellissimi piovuti nella mia vita semplice. Così pure mi sento sommerso dal tempo, dal denaro e dall'energia che creano. Invece di provare un senso di appagamento e di sollievo, ecco arrivare una sensazione di pesantezza, di obbligo, una sorta di responsabilità. Forse un senso di colpa per non essere altro che un robivecchi.
Mi trovo tra le mani dei meravigliosi pendagli fatti di conchiglie indonesiane, vecchi di 35 anni. E scatole e scatole di crani di scimmie, tartarughe, delfini, cervi, cavalli, uccelli, pesci, serpenti, lucertole, orsi, canguri, oche. Corna di tori che hanno posseduto harem di 30 e passa vacche. Scatole di piume d'aquila, di tacchini selvaggi dalla pelle dorata, raccolte tra le rovine degli antichi Maya, ali perfettamente conservate delle più grandi oche canadesi, penne di gufo e molto altro ancora, tutto raccolto negli ultimi 40 anni. Tessuti esotici, arazzi da muro, cappelli amazzoni, tamburi da cerimonia, meravigliose pelli di coyote, di soffice daino e di serpenti giganti. Poi c'è il barile di legno del Borneo, i totem ancestrali alti tre metri, provenienti dall'isola di Giava, il cavallo d'acciaio della Polinesia...
Anche la station wagon è stata messa in una scatola, un deposito per le auto economico e sicuro, con le quattro ruote liberate dal peso e sospese sul pavimento. In riposo, in attesa. Sognando i giorni passati. I giorni in cui faceva la ruggine, le porte incurvate, le gambe stanche e abusate. Ora è timida e orgogliosa, una giramondo, benedetta e amata. Eccessivo attaccamento? Forse.
Altri quindici anni così e sarei pronto ad aprire un museo...
Ed eccoti qui. Eccomi qui. Bevendo una birra messicana dietro l'altra. Forse l'avevi capito dalla mia scrittura. Forse no.In questo momento sono nella 'fantasyland' di Aspen con Jacques. Lui e Nougat hanno dormito a lungo. Le montagne che conosco così bene ci circondano. Il fiume è in piena forza ma può ancora crescere, a memoria del suo scorrere che mai finisce. Picchi e valli, forza e dolcezza, ma soprattutto ciò che mai finisce.Sono stanco. Volevo addentrarmi in qualcosa di più personale, ma per ora questo può bastare.
LOVE.
E l'augurio di ogni bene a te e alle persone a te care.
Il mio cuore non sarà mai chiuso.
Sam
(3. Continua)

(foto di David Koffend)

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